In un’epoca in cui viene fortemente rivalutato il concetto di medicina olistica, si parla spesso di disturbi psicosomatici, ovvero di malesseri fisici che derivano da un atteggiamento psichico perturbante, da un problema o un trauma emotivo; tuttavia ancora oggi, il meccanismo automatico che si cela dietro a queste corrispondenze rimane poco chiaro.
Si parla genericamente di riflessi non coscienti che influenzano lo stato fisico, ma, forse, in questo ambito le analisi fatte e divulgate non sono ancora state sufficientemente approfondite per consentire una vera comprensione di come si sviluppi la sequenza di azioni e reazioni capaci di interessare psiche e soma.
Proviamo, allora, a spiegarlo con l’aiuto di semplici considerazioni.
Nel suo pregevole libro “La medicina sottosopra”, Giorgio Mambretti affronta la nuova medicina di Hamer proponendo parecchi esempi, ambientati anche nel mondo animale. Tra questi ne citiamo uno molto semplice a proposito dell’infarto alle coronarie. Si tratta della “parabola” del vecchio cervo che deve mantenere la sua posizione di capobranco difendendosi strenuamente dagli attacchi del giovane “rampante”. Nel mondo animale la supremazia sul branco si stabilisce in base alla prestanza fisica; così, stagionalmente, il capo dovrà affrontare l’esemplare più giovane e forte per confermare o meno la propria posizione.
Il giovane cervo, entusiasta e vigoroso, possiede una potenza fisica difficilmente superiore rispetto al vecchio capobranco, nonostante quest’ultimo possa avvalersi dell’esperienza acquisita negli anni.
La natura, però, mette a disposizione del “vecchio” cervo un mezzo per aumentare la propria capacità muscolare attraverso una maggiore irrorazione sanguigna dei muscoli. Perché ciò accada, deve verificarsi una spontanea ulcerazione delle coronarie. Sostiene Hamer, e con lui Mambretti, che se il capobranco confermerà il suo status sociale il suo corpo riparerà naturalmente il “danno” fisico, diversamente potrà rischiare la vita.
Bene, tutto ciò è comprensibile e si può tranquillamente trasportare nell’ambito delle esperienze del genere umano, ma…
… L’uomo presenta anche associazioni inconsce e meccanismi automatici un po’ più complessi!
L’esempio precedente chiarisce ciò che può essere considerata una sequenza di “ordini automatici” che hanno conseguenze di tipo “meccanico” o, meglio, organico. Il tutto volto a migliorare le proprie prestazioni per salvaguardare le conquiste fatte e la stessa sopravvivenza.
Sarebbe già bello se tutti gli operatori della salute partissero da tali princìpi per prodigarsi nella propria missione! A volte, però, ci si trova di fronte a malesseri difficilmente riscontrabili in termini di “danni fisici”. Accertare in laboratorio le cause di un semplice “mal di testa” (usiamo appositamente un termine popolare e impreciso per sottolineare la “quotidianità” di un simile disturbo) è un’impresa ardua e spesso vana. Quando, come spesso (e fortunatamente) accade, non si trovano cause “tangibili” a un generico “mal di testa”, si finisce per imputarlo allo stress, alla stanchezza, eccetera. Sicuramente il “mal di testa” può avere origine da condizioni di superlavoro o di stress psichico o fisico di varia natura, ma le sue cause si possono ritrovare anche in una “cattiva” digestione, in uno squilibrio ormonale o addirittura in qualche singolare associazione di natura emotiva. La lista è piuttosto lunga e così si tende a giustificare l’impiego di rimedi che agiscano prevalentemente sul sintomo.
Sarebbe opportuno procedere altrimenti: la ricerca della causa è sempre di primaria importanza!
Esiste, in ogni caso, un’origine del problema che può essere rintracciata facendo ricorso a una tecnica idonea.
Facciamo un esempio, forse un po’ particolare e “colorito”, ma che potrà essere chiarificatore ed esemplificativo per la comprensione delle possibili cause scatenanti il nostro psico-somatico mal di testa.
Supponiamo che un signore si trovi tranquillamente seduto sulla panchina di un parco pubblico, intento a leggere il proprio giornale.
Alle sue spalle una pista ciclabile e dietro ancora un campetto di calcio dove due squadre di giovani disputano una partita.
L’uomo è assorto nella lettura, quindi il senso visivo è impegnato a rilevare i dati presenti sul giornale, dati che verranno trasferiti al cervello per elaborare la percezione delle informazioni raccolte.
La concentrazione non inibisce il funzionamento degli altri quattro sensi, che continueranno a lavorare anche se in condizioni di scarsa consapevolezza. Per esempio, il nostro signore sarà in grado di percepire i profumi e i rumori circostanti in maniera automatica, senza prestarvi attenzione.
E ora vediamo cosa può succedere: nel perfetto istante in cui il campanello di una bicicletta di passaggio suona, dietro le sue spalle ignare, sta arrivando un bel pallone di cuoio diretto proprio verso la nuca del malcapitato. L’evento, completamente inatteso, scatena una reazione di spavento e dolore pressoché contemporanei.
Prima che l’uomo diventi cosciente di ciò che è effettivamente successo, il suo sistema di percezione e archiviazione dati ha già registrato tutto l’accaduto in maniera immediata e automatica. E che cosa ha registrato? Tutte le impressioni pervenute, quindi: le ultime parole lette, il rumore del campanello, lo spavento, il colpo ricevuto alla nuca, il dolore alla testa, eccetera.
Il meccanismo automatico di associazione delle impressioni ricevute e di memorizzazione, di cui è dotato l’essere umano, non è fine a se stesso. Tra i molti scopi c’è anche quello di creare delle risposte rapidissime (re-azioni, appunto) e autonome in grado di provvedere alla sua salvaguardia.
Così, il “fatto” verrà registrato nell’inconscio con tutte le sue associazioni e l’inconscio invierà al subconscio, con il quale lavora a stretto contatto, comandi volti all’ottimizzazione della tutela dell’intera persona e della sua sopravvivenza. Il subconscio, per quanto decisamente poco intelligente, è un potentissimo e quasi infallibile attuatore.
I citati comandi potrebbero allora sfociare in “provvedimenti” simili al seguente: allorché si avverte un suono assimilabile (per intensità, per tonalità o per qualsiasi altra somiglianza) a un campanello, il collo e la testa invieranno un segnale doloroso in modo da prevenire ed evitare il potenziale trauma fisico. In questo caso il suono di un campanello può diventare fattore di re-stimolazione del dolore.
Questo meccanismo non è patrimonio dello stato cosciente, bensì di quello inconscio, e l’inconscio, come ci ha spiegato ampiamente la psicologia, in particolare da Freud in poi, ha la prerogativa di “condensare” i contenuti. Questo fenomeno è stato analizzato da Freud anche in occasione dei suoi studi sul materiale onirico. Infatti, nei sogni il protagonista è proprio l’inconscio. E’ fondamentale riconoscere e tenere presente l’importanza della stretta relazione esistente tra l’elaborazione inconscia e quella onirica… Ma di questo parleremo più avanti…
Così il caso preso in esame può instaurare catene di reazioni del tipo: “campanello – dolore al collo – perdita momentanea di equilibrio” oppure “lettura – mal di testa” o ancora “spavento – dolore alla nuca” e via di seguito.
Il nostro malcapitato signore potrebbe, per esempio, sentirsi male in Chiesa ogni volta che il campanello dell’officiante suona. Razionalmente il problema potrebbe essere tradotto in qualcosa di simile a “sono allergico all’incenso” o “il fumo delle candele mi provoca il mal di testa”, oppure, grazie a una zelante valutazione psicologica, si potrebbe giungere a ipotizzare qualche conflitto di carattere religioso… Eppure… quanto siamo lontani dalla causa reale!
Si può forse colpevolizzare il nostro personaggio per affermazioni del genere? No, perché la sua coscienza non è stata in grado di apprendere i VERI contenuti dell’avvenimento. Egli non poteva vedere ciò che stava accadendo alle sue spalle, a maggior ragione perché era intento in un’altra attività.
Esistono migliaia di esempi che potrebbero essere portati a confortare la matematicità di un meccanismo come quello esposto. Addirittura, per certi versi, tale automatismo è riscontrabile anche negli animali che condividono con noi la capacità di registrare a livello inconscio situazioni pericolose o nocive.
Qui è doveroso un brevissimo inciso: ovviamente il suddetto meccanismo automatico di associazione e registrazione si verifica anche in caso di avvenimenti piacevoli e fortunati. Non prendiamo in esame tali casi unicamente perché ci stiamo concentrando sulla possibilità di risalire all’origine di un malessere che, di solito, non scaturisce da un evento felice.
Torniamo ancora per un momento al parallelo tra uomo e mondo animale. Chi non ha mai visto un cane o un gatto dormire? Crediamo ben pochi! Bene, osservandoli si scopre facilmente che anche loro sognano. Infatti i più o meno piccoli movimenti ed emozioni che si verificano nel sonno non sono attinenti a quanto si svolge nel contesto che li circonda, bensì a un elaborazione inconscia.
Possiamo ipotizzare che un animale riviva in sogno scene di vita relative alla giornata precedente per ottimizzare l’apprendimento e creare in sé risposte automatiche più pronte ed efficaci.
Questo avviene in una certa misura anche nell’uomo, seppure quest’ultimo a causa di una psiche e di una mente più “elaborate” arricchisca i contenuti onirici con un simbolismo che rende più complessa l’interpretazione.
Possiamo, pertanto, affermare che il sognatore riviva scene appartenenti al passato e accadute altrove. Quindi, per l’essere umano come per l’animale, le regole del tempo e dello spazio che vincolano il nostro corpo perdono, almeno parzialmente, il loro rigore nel mondo onirico. Ciò sta a significare che, grazie alla memoria conscia e inconscia e a certe particolarità residenti nella nostra parte animica e astrale, è possibile rivisitare tempi e luoghi non contemporanei per estrapolarne insegnamenti. In altre parole per “fare tesoro dell’esperienza”.
Facciamo, ora, un passo avanti. Informazioni mnemoniche del genere di quelle citate vengono trasferite anche di generazione in generazione, sia per via genetica, sia per mezzo dell’educazione.
Geneticamente le giraffe si sono trasmesse l’ordine di allungare il collo per mangiare le foglie più alte degli alberi. E le generazioni successive hanno trasformato la razza in un miracolo della natura. Alcune razze di cani, ai quali viene crudelmente sacrificata la coda, finiscono per nascere con una coda già ridotta (forse anche nel tentativo inconscio di non dover subire il dolore e l’umiliazione della mutilazione). E così via. Queste situazioni, relative alle modificazioni genetiche, sono ovviamente proprie anche del genere umano, e altrettanto significativi possono essere gli esempi derivanti dai messaggi verbali e delle associazioni visive.
Jung racconta di aver compreso soltanto in età matura l’avversione innata che nutriva per la religione cattolica: egli aveva creato un’associazione visiva tra l’abito dei religiosi e il mito dell’Uomo Nero.
Quando, ormai uomo, vide controluce venire verso di lui un prete con il lungo abito talare e con il cappello ricordò l’analoga visione che si presentava dalla finestra della sua camera di ragazzo quando qualche religioso si recava a far visita al padre. Questa figura nera, incombente dalla collina e con il sole alle spalle, era stata dal giovane Jung associata al temibile Uomo Nero.
A volte possono occorrere anni perché certi misteri si svelino, proprio come nel caso di Jung e della sua particolare associazione.
Possiamo ipotizzare analogamente che una nonna che ripeta al nipotino “se non dormi, viene l’Uomo nero” possa instaurare, del tutto involontariamente, l’inizio di un meccanismo del quale si perderà la consapevolezza, ma non le conseguenze.
Cosa si può fare, dunque, per venire a capo di questi subdoli fattori di restimolazione?
Fondamentalmente esistono tre tipologie generali di intervento.
La prima è combattere i sintomi cosa che, quasi quasi, equivale a rassegnarsi. Anche se può rappresentare un sistema clemente da integrare a uno più risolutivo.
La seconda è sostituire l’informazione con un’altra caratterizzata da un differente messaggio da attuare, quindi agire in direzione di un intervento sul subconscio. Nonostante spesso il risultato si dimostri non definitivo, e quindi da ripetere, è pur vero che non avvelena il fisico.
La terza è risalire alla causa inconscia per liberarsi dal condizionamento. Si tratta, qui, di una vera indagine che, tramite le porte che si affacciano sui contenuti della memoria inconscia, può permettere di ritrovare il “capo del filo” e quindi comprendere la lezione e scaricare le associazioni inutili o, peggio, dannose.
A nostro avviso la strada migliore è l’ultima, in quanto soltanto la comprensione può permettere il superamento definitivo del problema. Ci piace chiamare questo processo “lettura e riscrittura del libro della vita”. In termini tecnici è più propriamente denominata Ricapitolazione cosciente e Ricapitolazione onirica. Insomma una vera e propria Dinamica del Ricordo che si avvale di specifiche porte per accedere all’inconscio.
L’importante è che l’individuo lavori in direzione di una sua evoluzione e che aumenti la conoscenza di sé.
La domanda che nasce spontanea a questo punto è: “Dove si trovano le PORTE, di questi magici passaggi, che permettono di comunicare con l’inconscio, senza che tale operazione si tramuti in un nuovo condizionamento?”
E noi rispondiamo: dove dovrebbero essere i varchi che ci permettono di guardare dentro di noi se non sulla nostra stessa area di frontiera? Il nostro corpo materiale confina con il mondo esterno tramite la superficie cutanea, è questa la nostra area di frontiera ed è qui che bisogna cercare: le porte si trovano sulla pelle!
La tecnica riflessologica che si fonda su una speciale mappatura di questi varchi spazio-temporali è quella che sperimentiamo, proponiamo e trasmettiamo da anni a tutti coloro che desiderino lavorare in tal senso.
In ultima analisi, se volessimo guardarci allo specchio e vederci come una “Macchina del Tempo” non sbaglieremmo per niente!
Ah, sì… dimenticavamo… ci sono anche le porte che si schiudono sul futuro!